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sabato 29 novembre 2014

Il "mal di scuola" e l'accoglienza.

Post di Gian Maria Zavattaro.

Immagine tratta dal video dei Simple Plan, 
Welcome to My Lyfe, 2004, 
una canzone in cui è espressa la rabbia incompresa 
di un adolescente.
In questo nostro tempo di profondi cambiamenti, di incertezze e di smarrimenti parole come solidarietà e accoglienza sono sempre più sulla bocca di tante persone, come reazione al nostro mondo “liquido” e modalità concrete di promuovere nuovi stili di vita e di relazione interpersonale. Soprattutto nella scuola abitano e trovano terreno questi semi di speranza, cuore della paideia. Il loro significato tuttavia, se dato per scontato e non chiarito,  rischia l’ambiguità di interpretazioni e comportamenti disparati.
Accoglienza è assistenzialismo sentimentale, frutto di mera esperienza emotiva, o un fatto culturale? Atto di debolezza o di forza? Optional paternalistico o dovere che liberamente si sceglie e si adempie? Gesto isolato del primo giorno di scuola o dimensione stabile? Si riduce ad un generico appello etico o richiama fortemente i valori ed il primato dell’etica della responsabilità? E’ imperativo della singola persona – docente, studente, genitore -, è problema collegiale ed istituzionale oppure unità di entrambi?

giovedì 27 novembre 2014

Ama la terra come te stesso.


Ama la terra come te stesso ...
(J.F.Millet, Angelus)
“C’è una conversione planetaria da fare,
c’è un nuovo comandamento da proclamare:
Amerai la terra come te stesso,
e la terra ti ricompenserà”.
(Enzo Bianchi)

In questi giorni di disastri franosi ed alluvionali in tutta Italia, ma in particolare in Liguria,  anche ad Albenga e intorno a casa mia, la preoccupazione ecologica si è trasformata per molti in angoscia, in incubo e spesso pure in intollerabile perdita economica.


Ama la terra, giardino da custodire ...
(E.S.Field, Il giardino dell'Eden)
Improvvisamente (e finalmente) sembra che tutti stiano aprendo gli occhi sulla relazione di causa-effetto tra l’agire dell’uomo e gli squilibri del mondo naturale e che (finalmente) si rendano conto che si tratta di un  problema politico – economico - etico che coinvolge i valori essenziali della vita umana e della convivenza sociale.

Ama la terra, luogo da coltivare ...
(J.F.Millet, Piantatori di patate)
Problema che pone, senza possibilità di incontro, due modi antagonisti di pensare e soprattutto di fare, quasi una resa dei conti.  Uno è il “principio Gerusalemme” (così definito da Enrique Dussel), per il quale la terra non appartiene all’uomo: è l’etica comunitaria che rifiuta il modello dello sfruttamento sregolato delle risorse e dell’uso spregiudicato delle tecnologie, con le conseguenti ritorsioni contro la vita, messa a repentaglio in ogni sua forma.
Ama la terra nel tuo passare...
(Giotto, Fuga in Egitto)
L’altro, di gran lunga dominante, è “il principio Babilonia”: l’agire individualistico della dissipazione, distruzione, desolazione della terra, in nome di un profitto individuale senza rimorsi, che se ne frega di tutti, compra tutto, mette tutto a tacere, magari con un bel condono edilizio. Il principio Babilonia è la concezione strumentale della natura, è forma arrogante di conquista e di dominazione non solo economica ma anche culturale, atteggiamento predatorio che sistematicamente  distrugge la terra, non più madre né sorella, ma materia sfruttabile all’infinito.

Ama la terra nella fraternità delle creature ... 
(Giotto, Francesco predica agli uccelli)
Di fronte a Babilonia non basta l’indignazione, che a volte è solo una maschera della propria tranquillità e sicurezza minacciata, occorre l’etica della responsabilità, della solidarietà e della partecipazione alla sofferenza di un’altra creatura. E’ un impegno che dovrebbe riguardare tutti, ognuno di noi, perché segno del nostro futuro ed insieme l'unica garanzia che ci può preservare dal pericolo, ricorrente e permanente, di un mondo che in ogni momento potrebbe rivoltarsi e travolgerci.

Ama la terra, luogo in cui donare ... 
(Giotto, Francesco dona il mantello)
Oggi è il tempo di nuove proposte in nome  di “un’etica della terra, per i cristiani un’etica della creazione, che affermi la responsabilità umana di fronte all’ambiente terrestre”. Invito a leggere o rileggere  l’articolo di Enzo Bianchi, apparso su Jesus, ottobre 2014, “Ama la terra come te stesso”, di cui mi guardo bene  dal  riportare un’inopportuna sintesi ma solo la riflessione finale: “Quest’etica della terra richiede innanzitutto una coscienza ecologica che sia vigilante e pronta ad assumersi la responsabilità dell’ambiente. […] Ma quest’etica richiede anche che si concretizzi il principio della destinazione universale dei beni, della condivisione della terra e delle sue risorse. […] Oggi sono i paesi ricchi che consumano la quasi totalità delle risorse, lasciando popoli interi nella miseria e nella fame, infliggendo loro uno sfruttamento irrazionale e segnato da profonda ingiustizia".
Ama la terra per condividerne i frutti ... 
(J.F.Millet, Le spigolatrici)
Riscoprire l’uguaglianza e la giustizia è assolutamente necessario per affermare la fraternità universale, altrimenti questa è solo una menzogna, cioè una verità affermata con forza e solennità ma di fatto calpestata. Infine, l’etica della terra richiede di pensare ai diritti delle generazioni future: ogni generazione dovrebbe andarsene dalla terra dopo averla resa più bella, conosciuta, amata e difesa, ma in realtà soprattutto le nostre ultime generazioni sembrano solo capaci di lasciare bruttezza nel paesaggio, nell’ambiente, e sembrano responsabili dell’avanzata dei deserti su tutte le terre.

Ama la terra per custodirne 
e accrescerne la bellezza 
(J.F.Millet, Primavera).

domenica 23 novembre 2014

Alluvioni, frane, disastri ambientali. Provocazione.


La Liguria in ginocchio ... 
(immagine tratta da Riparte il futuro, 
Petizione diretta a Claudio Burlando, 
Presidente della Regione Liguria)
Zona di Albenga.
Zona di Albenga, i danni alle coltivazioni.
Zona San Fedele di Albenga, esondazione.
15 novembre 2014.
“Io rido di un unico oggetto, l’uomo pieno di insensatezza, vuoto di opere rette, puerile in tutti i suoi progetti, che sopporta senza alcun beneficio prove senza fine, spinto dai suoi desideri smodati ad avventurarsi fino ai confini della terra e nelle sue immense cavità… E non sente alcun rimorso a dichiararsi felice, lui che fa scavare a piene mani le profondità della terra da schiavi in catene, di cui gli uni muoiono sotto i cedimenti di un terreno friabile, mentre che, interminabilmente sottomessi a quel giogo, gli altri sopravvivono nel supplizio come in una patria. (…) Della nostra madre terra si fa una terra nemica; essa, che resta sempre la medesima, l’ammiriamo e la calpestiamo. Che risate, quando questi innamorati di una terra estenuante e piena di segreti usano violenza a colei che hanno sotto gli occhi. […] Allora perché, Ippocrate, mi hai rimproverato di ridere? Non c’è uomo che rida della propria insensatezza…”.(Ippocrate, Sul riso e la follia, Sellerio, Palermo, 1991, a cura di Y. Hersant).

N. Moeyaert, Ippocrate e Democrito.

Democrito viene spesso rappresentato 
come il filosofo che ride del mondo e degli uomini ... 
(J. Moreelse, Democrito, particolare)
Il libro da cui è tratta la citazione è stato attribuito al medico Ippocrate del V sec. a.C. e si ricollega alla  leggenda della pazzia ridente di Democrito (460-370 a. C.), il filosofo ridanciano dalla proverbiale bruttezza, denunciatore di tutte le debolezze umane. Così lo descrivono Orazio, Cicerone, Giovenale, Seneca…; così lo presentano i  busti marmorei a noi  pervenuti e la  famosa  incisione di Rubens.

W. Blake, Democrito in una immagine 
ripresa dall'incisione di Rubens.
Come si può evincere  dalla lettura, dopo circa 2.400 anni, nulla di nuovo sul fronte occidentale!
Questo “libro del riso e dell’oblio” assume oggi una sua attualità, anche se al posto del riso  forse sarebbe meglio il pianto od entrambe le cose: ridere alla maniera di Democrito sull’insensatezza di chi poteva e doveva prevenire i disastri; piangere per i drammi e la tragedia di tante persone.

... in contrapposizione al pianto di Eraclito ... 
(J. Moreelse, Democrito ed Eraclito)
Chi è pazzo? Il filosofo solitario che se ne è andato a vivere fuori le mura o noi che facciamo finta di niente e digeriamo ogni sopruso?

Rubens, Democrito.
Chi è il vero malato? Il Democrito di turno o la collettività, ingenuamente ansiosa di guarirlo e di ritornare a farsi gli affari propri?

Bramante, Eraclito e Democrito.
Non so se il riso beffardo di  Democrito si possa considerare un’efficace terapia sociale, ma sicuramente è un genere di riso e follia che non è il  sorriso della pietà, della tenerezza, dell’umanità caritatevole, dell’innocenza ospitale. E’ piuttosto il pianto di una democrazia  tradita, “alla mercé di cattivi coppieri”, come direbbe Platone.
D. Velásquez, Democrito ride
dell'insensatezza del mondo.

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martedì 18 novembre 2014

Assenza del desiderio e potenza del desiderio ... leggendo Massimo Recalcati.

🖊 Post di Rossana Rolando.

La forza del desiderio e Ritratti del desiderio di Massimo Recalcati: il primo è un discorso tenuto dall’autore presso il Monastero di Bose e poi pubblicato dalla Qiqajon, il secondo è un libro uscito qualche anno fa, edito dalla casa editrice Raffaello Cortina Editori.
I volti del desiderio
Recalcati si legge d’un fiato, ha un linguaggio fresco, sa dire cose antiche in modo nuovo, sa rovesciare i comuni modi di pensare, sa svelare meccanismi schiavizzanti e mortificanti. Soprattutto, pur essendo libero da moralismi, è in grado di comunicare una tensione etica che promuove e valorizza la vita. Certo un’etica guardata nell’ottica dell’individuo e della sua felicità personale - e questo individualismo potrebbe essere il limite di tutto il discorso - che va però collocata nel contesto odierno di una società in cui l’assenza del desiderio o il 'desiderio di niente' colpisce tutte le fasce di età e non solo i giovani, andando a costituire una vera e propria malattia.
Provo a suggerire alcuni spunti che credo possano invitare alla lettura. Li ho chiamati rovesciamenti … dell’opinione comune, del pensiero sedimentato, di ciò che appare ovvio ... e li ho associati ad un'immagine.

domenica 16 novembre 2014

Emmanuel Mounier, la testimonianza biografica.


Emmanuel Mounier.
‟Contro la ricchezza e contro la miseria ad un tempo, 
noi conduciamo la rivolta della Povertà,
 di una povertà dalle forme indubbiamente imprevedibili 
che, senza volger le spalle al mondo nuovo, 
si servirà dell'abbondanza
per rendersi sempre più feconda nel distacco dai beni materiali"
(E. Mounier, 1935, in Oeuvres, 1961, I; tr. it., p. 410).


Mounier con Lacroix e Domenach.
M. nasce a Grenoble il 1° aprile 1905.  Da ragazzo spesso accompagna il padre medico nei quartieri poveri di Grenoble: è per lui il “battesimo di fuoco” con la miseria. Su volere del padre intraprende gli studi di Medicina, ma prova “orrore” per la Sorbona, alla vista delle “anime così certe di professori …
Le intelligenze limitate, gli uomini assisi in cattedra, alla tribuna, nelle loro poltrone, gli uomini soddisfatti, gli intelligenti, gli u-n-i-v-e-r-s-i-t-a-r-i … non conoscono l’ospedale se non in seno alla loro commissione di igiene”.

Università della Sorbona.
I corsi di filosofia tenuti da Chevalier lo riconvertono alla filosofia e l’invogliano alla lettura di Cartesio, Bergson, Blondel, Marcel. Nel Natale del ‘29 riscopre il pensiero di Ch. Péguy, incontra il figlio con il quale nel ’31  pubblica “La pensèe de Ch. Péguy”, sottolineando temi che gli saranno sempre cari: l’impegno per i poveri, il primato della mistica sulla politica, lo spirituale che non è fuori dal temporale.

Charles Péguy

Nell’ottobre del ‘32 esce il primo numero di Esprit (“rivista internazionale edizione francese rivista non confessionale”) che subito dischiude gli orizzonti: “Refaire la Renaissance”, riprendere l’ispirazione del rinascimento, la liberazione dell’uomo naufragato nell’individualismo borghese e nella separazione dell’uomo dalla comunità. Sin dal primo numero è guardato con sospetto da certa parte della gerarchia ecclesiastica e da intellettuali cattolici come Mauriac: incomprensioni che lo accompagneranno per tutta la vita.
La Rivista Esprit.
Nel n. 6 (“Rottura tra l’ordine cristiano ed il disordine stabilito”) chiarisce che la rottura è nel prendere coscienza che questa società è fondata su falsi valori, che dietro un’apparenza di ordine e democrazia vi è una realtà di ingiustizia sostanziale e di ineguaglianza, che rende illusoria anche la libertà politica. Rottura dunque nel senso del primato dello spirituale che si esprime  nella comunità,  nell’essere in relazione con gli altri, nel costruire una società di persone.  Coerenti saranno negli anni i dibattiti ed i temi proposti da Esprit: il lavoro senza significato; l’alienazione nella accumulazione delle cose, nel consumo, nel conformismo; l’incomunicabilità; la dittatura del denaro; il falso pacifismo; il militarismo; il borghese come categoria dello spirito; il capitalismo; il comunismo; il fascismo... Negli anni raccoglierà gli scritti e i saggi in varie opere, prima fra tutte  “Rivoluzione personalista e comunitaria”.

Persona e comunità 
sempre unite.
Nel 1935 sposa  Paulette Leclerc, belga: saranno madre e padre di tre figlie, in primis della “piccola Francoise”, destinata a vivere in una “misteriosa notte dello spirito”.

L'esperienza del dolore.
Nel 1939 è la guerra ed anch'egli  viene mobilitato. Nel luglio del ’40, dopo essere stato per qualche tempo prigioniero, è smobilitato ad Orange; risiede poi con la famiglia a Lione e sin dall’estate del ’40 prende contatti con i primi movimenti della resistenza Combat e Temoignage cretien. Decide di pubblicare Esprit alla luce del giorno, ma il regime di Vichy nell’agosto del 42  proibisce la rivista.

Periodico clandestino 
della Resistenza francese.
Arrestato nel gennaio del ‘42, viene imprigionato a Clermond Ferrand e rimesso in libertà  provvisoria e in residenza coatta. Nell’aprile, internato a Vals, inizia lo sciopero della fame (“atto fragile, mezzo povero”, allora inusitato e non banalizzato come oggi dai  media): radio Londra trasmette la notizia, Vichy non vuole cedere ma poi capitola e l’internamento è revocato. 

La Francia occupata dai tedeschi 
e la Francia di Vichy
Non è la fine delle persecuzioni: nel luglio si ritrova in prigione, settore detenuti politici. Qui scrive una parte del Traitè du caractère. Assolto, nel novembre 42, si rifugia nel Delfinato, dove porta a termine il Traitè e l’Affrontement. Legge Nietzsche, Sartre Kierkegaard, i mistici cristiani e mantiene  i contatti con la resistenza lionese.

Il volto dell'uomo.
Nel ‘44 con la liberazione torna a Parigi, dove propone l’esperienza di una comunità personalista, in cui vivono famiglie legate all’amicizia e dal servizio reciproco, nel più grande rispetto delle libertà personali di ciascuna. A dicembre, sei mesi prima della altre riviste, Esprit riappare e discute i grandi temi dell’ora: resistenza, rivoluzione, marxismo e comunismo, esistenzialismo, letteratura, decolonizzazione, scuola, mondo cristiano e mondo moderno, personalismo, speranza dei disperati… I suoi scritti ed articoli troveranno compiuta sistemazione  in altre specifiche pubblicazioni (es. Il personalismo).

L'uomo come persona.
Nel settembre del '49 ha una prima crisi cardiaca; il 22 marzo ‘50 la morte lo coglie nel sonno. Nell’ultimo numero di Esprit aveva voluto ribadire il suo punto di partenza, l’opzione fondamentale per i poveri, aprendo una “cronaca degli schiacciati”: voleva fino in fondo condividere la loro miseria ed oppressione, la loro speranza di liberazione, i loro problemi ed le loro lotte.

Dire persona oggi.
Il tempo ed il mondo di M. sono certamente diversi, anteriori all’esplosione della globalizzazione, di internet e della tecnologia informatica.  Eppure la coscienza di una crisi non solo economica, ma epocale, crisi di civiltà, è anche la nostra. Ieri come oggi  gli uomini e le donne vivono la tragicità dell’esistenza: l’angoscia per le guerre che ancora affliggono da ogni parte il mondo, per la miseria l’ingiustizia la violenza ancora pervasive, per i volti nuovi della massificazione nella società liquida.
Il personalismo, come pensiero che pone al centro la persona e la comunità, può essere ancora oggi una risposta alla crisi?


Ripensare il personalismo.
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