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sabato 23 settembre 2017

Ancora le scarpe di Van Gogh.

Una rivisitazione de "Un paio di scarpe" di Vincent Van Gogh.
🖊Post di Rossana Rolando 
🎨Immagini dei dipinti di Vincent Van Gogh.

Un paio di scarpe, 1886, 
Van Gogh Museum, Amsterdam
Un paio di scarpe, dipinte durante il soggiorno parigino, nella seconda metà del 1886, un anno prima dell’inizio di quel processo morboso (fine del 1887, inizio 1888 circa) che porterà Van Gogh alla morte (il suicidio è del luglio 1890, a 37 anni): sono scarpe logore, slacciate, sospese in uno spazio che non ha forma, semplice presenza che ci interroga e ci commuove. Su queste scarpe molto si è scritto, a partire dal saggio heideggeriano sull’origine dell’opera d’arte, risalente al 1935, per passare attraverso Schapiro, Lacan, Derrida, fino alla pubblicazione in Italia del libro Le scarpe di Van Gogh (Marcos y Marcos, 2013), contenente saggi di diversi autorevoli autori.
In questo ideale confronto le posizioni di Heidegger e Lacan si contrappongono senza escludersi. 
Per il primo le scarpe, nel momento in cui sono assunte come oggetto dell’opera d’arte, non sono più semplici mezzi da utilizzare, ma assurgono a segni di interi mondi di senso: sono le scarpe contadine che rimandano alla “fatica dei ritmi del lavoro”, alla “durezza dei passi tra i solchi”… in esse “vibra il richiamo scabro della terra, il maturare silenzioso delle sue messi”… attraverso esse sentiamo respirare “l’apprensione, senza lamenti, per la sicurezza del pane, la gioia, senza parole, per lo stato di bisogno nuovamente superato, il trepidare nell’imminenza della nascita e il tremare nell’avvolgente minaccia della morte” (1).

Campo di grano con volo di corvi, 1890, 
Van Gogh Museum, Amsterdam
Secondo l’interpretazione di Heidegger la verità del paio di scarpe non risiede nella descrizione che potremmo fare del loro uso, a tutti ben noto, ma nell’apertura di significati che esse ci dischiudono attraverso il dipinto. In questo consiste la potenza rivelativa dell’arte.
Al contrario, per Lacan, le scarpe indicano una nuda presenza sganciata dalla catena dei significanti, pura assenza di ogni  ulteriore rimando. Sono solo e unicamente scarpe logore, vecchie, abbandonate, sono un resto, un rifiuto, uno scarto, sono l’equivalente della vita dell’artista, del suo sentirsi gettato e abbandonato nel mondo, sciolto da tutto e da tutti, in una prossimità continua con il nulla e con la morte. Meglio di qualsiasi altra immagine esse rappresentano van Gogh, costituiscono il suo più riuscito autoritratto, come afferma Massimo Recalcati nella sua ripresa di Lacan (2).
In questa linea interpretativa si colloca anche il filosofo Karl Jaspers,  nel suo saggio del 1922, dedicato a Van Gogh, quando associa i quadri del pittore alle poesie tarde di Hölderlin o alla filosofia di Kierkegaard, vedendole apparentate dallo stesso travaglio esistenziale: nell’opera d’arte s’incarna “l’esperienza vissuta di una personalità in sfacelo. Come in Hölderlin, sembra che la corda dello strumento percossa con veemenza esali la sua nota nell’istante in cui si spezza… Qui il creatore si consuma nell’opera” (3).

La sedia di Van Gogh, 1888, 
National Gallery, Londra
In questa seconda linea interpretativa l’arte è la forma della malinconia, è l’esteriorizzazione del tormento interiore ed è, nello stesso tempo, possibilità di dominio su di esso, come lo stesso van Gogh scrive al fratello Theo: “Devo poter esprimere attraverso il disegno e la pittura quello che ho dentro la mente e il cuore”  (4) e ancora:  “… lotto con tutta la mia energia per rendermi padrone del mio mestiere, dicendomi che, se ci riesco, sarà questo il migliore parafulmine contro il mio male” (5).
☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆

Guardando quelle scarpe logore, oggetti di una quotidianità spoglia e severa, siamo comunque sicuri di immergerci nel cuore pulsante della vita, sia essa disvelata nel mondo di significati evocato da Heidegger, sia essa racchiusa nel tormento interiore indagato da Lacan. E allora è davvero secondario stabilire a chi appartengano quelle scarpe (secondo l’ironico intervento di Derrida), per lasciare piuttosto spazio alla profondità del gesto artistico, alla grandezza spirituale ed etica che esso sottende, lontano da ogni fatuità, moda, vuota superficialità da cui può essere tentata la ricerca del successo.
Nel settembre del 1885 - anno a cui risale il primo capolavoro: I mangiatori di patate - il fratello Theo scrive alla sorella Willemien: “Se [Vincent] riuscirà nel suo lavoro, sarà un grand’uomo. Quanto al successo mondano… sarà apprezzato da alcuni, ma incompreso dal grosso pubblico. Tuttavia, verrà rispettato da coloro che cercano nell’artista qualcosa di più di una superficiale bravura…” (6).

Autoritratto, 1889, 
Musée d'Orsay, Parigi
Il riconoscimento del largo pubblico arriverà più tardi, quando ormai la vita di Van Gogh - randagia e segnata dagli stenti - sarà conclusa, nel totale misconoscimento del suo immenso valore. Dietro l’opera vi è la statura dell’uomo: questo è l’aspetto non scontato che si cela dietro quel semplice paio di scarpe.
Lo stesso filosofo Karl Jaspers lo sottolinea nel suo saggio introduttivo all’Epistolario di Vincent e del fratello Theo: “Queste lettere costituiscono nell’insieme il documento di una concezione del mondo, di un altissimo pensiero etico, espressione di una sincerità assoluta, di una fede profonda, di una carità infinita, di una generosa umanità, di un imperturbabile amor fati. E’ questa una delle testimonianze più commoventi della nostra epoca. Questo ethos esiste indipendentemente dalla psicosi, anzi, in essa si consolida” (7).

Note.
1.  Martin Heidegger, L'origine dell'opera d'arte, Christian Marinotti, Milano 2000, p. 39.
2. Massimo Recalcati, Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh, Bollati Boringhieri, Torino 2014, p. 118.
3. Vincent Van Gogh, Lettere a Theo, con un saggio introduttivo di Karl Jaspers, Guanda, Parma 1984, p. 21.
4. Ibidem, p. 34.
5. Ibidem, p. 15.
6. Ibidem, p. 36.
7. Ibidem, p. 17.

13 commenti:

  1. I tuoi post, Rossana, sono sempre di una “delicatezza” speciale!
    Unici nella propedeutica al sentimento dell’arte.
    Pertinenti e suggestivi i rimandi filosofici.

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    1. E i tuoi commenti, Rosario, sono sempre quelli di un amico che sa guardare a fondo. Grazie per la tua presenza! Un grande abbraccio.

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  2. Grazie, come sempre.

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  3. Risposte
    1. Sì, un artista eccezionale, oggi universalmente riconosciuto... non in vita: quanta sofferenza nella sua biografia (come testimoniano le Lettere a Theo).

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  4. E la sedia? Come è diversa! Disegnata con precisione immersa in una luce serena in un ambiente ben delineato, richiama il riposo al sicuro al caldo di un ambiente familiare.
    Le scarpe sono scure sfocate poggiate in uno spazio immateriale, si le scarpe possono raccontare il dolore, sono così vicine all'io! Però non trovo che siano uno scarto, un rifiuto.
    Un saluto e ...ad altri post!

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    1. Bellissima la notazione sulla sedia, forse rimando ad un "luogo" della mente intimo e protetto.Grazie, Gianni, per la tua lettura sempre sensibile all'aspetto estetico. Un caro saluto.

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    2. Grazie a te, Rossana. Veramente.
      Buon fine settimana!

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  5. Grazie, forse un po' fuori tema, ma questa bella riflessione mi spinge a condividere un ricordo: la scena finale di un bel film - "Tutto quello che vuoi" - nella quale i vecchi scarponi, ricevuti in dono dagli americani - vero tesoro per un ragazzino impaurito in fuga dalla guerra, tanto da sotterrarli ai piedi di una croce - diventano, da parte del suo vecchio amico poeta, il lascito di una nuova identità per il giovane di borgata che, indossandoli nel giorno della sua dipartita, riceve il senso e la forza per una ripartenza esistenziale.

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    1. Grazie per il commento e per la condivisione del significativo - vitale - ricordo.

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  6. Cara Rossana, i tuoi scritti - mi permetto di passare al tu, dopo la consolidata e stimata frequentazione attraverso il web - mi aprono finestre sul mondo, regalandomi preziosi spunti di riflessione. Van Gogh è speciale: ho avuto la fortuna di ammirare dal vivo tanti suoi quadri ad Amsterdam e ne sono rimasta incantata. Come ben scrivi, i punti di vista di Heidegger e Lacan, più che opposti, sono complementari. E quelle scarpe a me paiono umane, cariche di un misterioso dolore ... Un caro saluto.

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    1. Grazie Maria, sono felice di passare al tu. In effetti la nostra reciproca corrispondenza tramite i rispettivi blog ci ha permesso di entrare in una relazione "vera" e amicale, a dispetto di tutti i detrattori del web. La tua sintesi finale "scarpe umane, cariche di un misterioso dolore" mi trova in piena sintonia. Un abbraccio, Rossana.

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