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giovedì 14 novembre 2013

La solidudine oggettiva.



Siamo soli, cantava Vasco. Siamo tutti soli. 


Lungo la via di una qualsiasi città ...

Ma ci sono persone ancora più sole: gl’invisibili, gli ultimi, i penultimi, chiamiamoli come vogliamo. 


Disperazione.

Le città ne sono piene ed ormai ci abbiamo fatto il callo, tanto che non ci facciamo più caso.

Dolore.

Queste solitudini di oggi non vengono  da qualche misterioso destino, ma affondano le loro radici nella nostra società. Sono gli uomini a creare queste solitudini: i meccanismi di esclusione e di marginalizzazione non sono fatali,  portano le stigmate della storia, esprimono alle radici il travaglio della nostra società e la sofferenza di ogni singola persona.


Meccanismi di esclusione.

Ma  in quanto storiche queste solitudini ci interrogano, ci invitano a rinnovare la storia, ci spronano - come già dicevo in un precedente post - a ricercare  una solidarietà creatrice che sappia dare credibilità ad una nuova speranza. 


Ricreare le condizioni per danzare la vita.

Certo l’impegno per recidere  le radici storiche delle solitudini non giungerà ad eliminare per sempre l’esperienza della solitudine dalla vita dell’uomo, perché essa non è solo frutto di determinate condizioni storico-sociali, ma rimanda al vissuto  delle singole persone.


Malinconia.

In effetti la solitudine “oggettiva” - pur con intensità, implicanze e  costi assai diversi -  riguarda tutti: uomini e donne, integrati e disadattati, ricchi e  poveri, lavoratori e disoccupati, sfruttati e sfruttatori, giovani ed  anziani, immigrati ed autoctoni, malati e sani, disabili ed atleti, carcerati e carcerieri, vittime di perdita di ruolo o di rilevanza  sociale, discriminati,  stigmatizzati, separati, emarginati dal proprio ambiente, tutti coloro che soffrono la  perdita di contatto sociale, abbandonati a causa dell’età, della malattia, della morte dei familiari. 


Angoscia.


Siamo un’umanità  che si trova a vivere in un sistema ad una dimensione dove ciò che conta è solo il denaro, il successo, il potere; dove tutti soggiacciono ad un medesimo modello di relazione (produzione, competizione, efficienza e consumo) e ad un unico processo di competizione – o tu o io, meglio io - che ha nella legge del profitto il cardine fondamentale ed insostituibile. Tutti soffrono la solitudine, pur con diversità consistenti ed anche tragiche. 


La solitudine riguarda tutti.

Soffrono una loro solitudine anche “i padroni del vapore”, coloro che nella corsa risultano vincitori ed impongono le loro regole, i loro   parametri  di valore, il  loro modo di vita ed i loro prodotti. Ma è soprattutto dalla parte di coloro che sono vinti che la solitudine – con le sue  condizioni di sfruttamento, di povertà, di miseria,  ed anche di intima disperazione ed abiezione – è una ferita lacerante,  un  silenzioso grido insopportabile. 


Un silenzioso grido ...

Tutte le immagini riproducono opere di Edvard Munch.

Chi desidera intervenire può consultare il post del 22/10/13 oppure semplicemente andare qui sotto su "commenta come", nel menù a tendina selezionare "nome/URL", inserire solo nome e cognome e cliccare su continua. Quindi può scrivere il proprio contributo sul quale rimarrà il suo nome ed eventualmente, se lo ritiene opportuno, può lasciare la sua mail.

2 commenti:

  1. Con cosa si può combattere la solitudine? Con una parola che ha la stessa radice: solidarietà. Anche Leopardi, assoluto esempio di pessimismo, nell'ultima parte della propria vita, vede la solidarietà come unica salvezza contro la solitudine esistenziale dell'uomo ("La ginestra o il fiore del deserto", 1836). Solidarietà che tanto servirebbe in questi tempi di crisi, quando si è sempre più portati a guardare al proprio singolare interesse.
    Solitudine e solidarietà sono i due estremi tra i quali oscillano le opere di Munch: l'angoscia, la disperazione dei protagonisti (l'urlante, l'egra fanciulla, la folla che cammina senza meta) gridano a gran voce il bisogno di considerazione da parte degli altri. Ma gli altri spesso sono sordi e ciechi alle loro grida.
    In questo periodo, qui a Genova, a Palazzo Ducale, è stata allestita una bella mostra proprio su Munch! Non l'ho ancora vista, ma penso che presto ci andrò.

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    Risposte
    1. Caro sig. Luca, è sempre per me, per noi, un piacere leggere i suoi interventi che rivelano non solo la sua preparazione culturale, ma anche la sua vigile sensibilità che non vuole commuovere ma ricordarci che la solitudine non si rivela se non a colui che, soffrendola in sé o negli altri, intende impegnarsi a risolverla. E la si risolve senza cadere mai nell’atto odioso dell’elemosina - eppure bella parola greca che significa tenerezza compassionevole! - di un gesto o di una parola che lasciano il tempo che trovano, che non impegnano in alcun modo, ma solo esprimono un’umiliante ed esasperante condiscendenza. Raccolgo perciò volentieri il suo invito a far entrare a forza nelle nostre preoccupazioni quotidiane la presenza permanente dei due estremi, solitudine e solidarietà. Anche per questo, appena mi sarà possibile, andrò con la mia dolce consorte a Palazzo Ducale, a scandagliare i due estremi tra i quali oscillano le opere di Munch. Grazie.

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