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martedì 3 dicembre 2013

Festa: società sacrale e postsecolare.



La sacralità del tempo ...
 
Il  paradigma storico della festa, che si perde nella notte dei tempi, è l’esperienza della sacralità del tempo, articolato nelle forme cicliche delle ricorrenze che segnano la vita individuale (nascita, iniziazione, matrimonio …), che accompagnano l’inizio e la chiusura di ogni attività umana nell’alternarsi delle stagioni, scandiscono le tappe della vita  e della storia di un popolo: insomma il luogo ed il tempo ove si incrocia la storia personale con quella del gruppo di appartenenza.


... che scandisce le tappe della vita ...


... dal battesimo ...


... al matrimonio ...


... al congedo ultimo ...

Nella società sacrale e preindustriale la festa, momento di aggregazione istituzionalizzata e di rassicurazione  contro le incertezze correlate ad una vita di  sussistenza, era spesso finalizzata a ridurre nelle attese devozionali il dramma delle crisi ricorrenti (siccità, carestie, epidemie, calamità). 


La ricerca di rassicurazione ...

La condivisione di un culto – espressa nella ritualità, nella preghiera, nella coralità delle parole e del canto – e lo scambio di cibi consumati insieme erano le emozioni in cui ritrovare l’identità propria in quella dell’altro, la fiducia per affrontare il domani. L’immancabile aspetto ludico poteva anche scoprire il senso gratificante della carnalità, dell’eversione e trasgressione, sino alla scurrilità ed irriverenza, come forme consolatorie di emancipazione (penso alla “festa dei folli” o all’origine del carnevale: semel in anno licet insanire!). La festa infine assolveva anche alla funzione di ammortizzatore sociale ed era veicolo di educazione e di comportamenti sociali.


... ma anche il carattere carnevalesco della festa ...


I caratteri sopra descritti sono sostanzialmente presenti oggi nelle consuetudini festive profane, frutto concluso  di un processo di secolarizzazione e di omologazione dei comportamenti che con la religiosità ormai non hanno nulla da spartire: feste popolari, calendariali, civili, politiche, etniche, interculturali,  familiari, individuali, paesane, urbane, rurali, sagre popolari, telematiche …


... oggi ereditato dalle consuetudini festive profane ...

... ormai sganciate dal mondo religioso ...
Non cambiano i bisogni di riposo, di svago, di aggregazione; possono invece cambiare nel tempo contenuti, rituali, regole occulte e manifeste, forme e ruoli, in rapporto con le forze sociali che ne assumono il controllo e ne fissano  la  valenza sociale e ideologica. Ieri  e oggi ogni festa,  per essere tale, deve rispondere ai seguenti requisiti: collocarsi in giorni e luoghi ben definiti;  riferirsi a precisi valori e convinzioni; offrire e suscitare emozioni, affetti, interessi,  momenti di svago, rassicurazioni, interazioni; aggregare   e coinvolgere nella partecipazione ai riti religiosi o politici o civili o militari (v. le bande musicali, le parate, le sfilate, i cortei, le processioni, i raduni oceanici nelle piazze,…).


Non cambia il bisogno di riposo ....

.... di aggregazione ...

Rimane  però  ancora aperto l’interrogativo:  che cosa è  per me-noi  e che cosa   può significare la festa?

La prima serie di immagini riproduce opere di Domenico Ghirlandaio (1449-1494) la seconda opere di Paul Cézanne (1839-1906).  Anche l'arte accompagna ed evidenzia il passaggio da un mondo sacrale - ormai tramontato - ad un mondo secolarizzato.
Chi desidera intervenire può consultare il post del 22/10/13 oppure semplicemente andare qui sotto su "commenta come", nel menù a tendina selezionare "nome/URL", inserire solo nome e cognome e cliccare su continua. Quindi può scrivere il proprio contributo sul quale rimarrà il suo nome ed eventualmente, se lo ritiene opportuno, può lasciare la sua mail. 

2 commenti:

  1. Caro Professore,
    cerco di abbozzare una ipotesi di risposta all'interrogativo che pone in conclusione della sua riflessione.
    Per me, la festa è
    - memoria e identità per la comunità che, oggi come ieri, si ritrova insieme: come i miei nonni- per farle un esempio di feste molto sentite nella nostra terra- salgo al Santuario di San Cosimo di Gavenola, o alla Madonna del Lago di Alto, oppure mi reco il 2 luglio a Pontelungo, o nei giorni vicini all' 8 settembre vado alla Fiera al Santuario di Vicoforte, presso Mondovi... E' il perpetuarsi di gesti, che, da generazioni, vengono compiuti e sono strumento di riconoscimento nella storia di una comunità

    - relazionalità: collegandomi anche a ciò su cui ponevo l'accento in altre occasione, vedo nella festa un momento privilegiato, liberi da pensieri e preoccupazioni di natura professionale e lavorativa, per dedicarci a costruire e coltivare quelle relazioni buone, in famiglia, con gli amici, con la nostra comunità, di cui oggi vi è tanto bisogno. E', dunque, momento in cui persona e comunità sperimentano in modo speciale la loro complementarietà, trovando l'una nell'altra senso e compimento.
    Questo aspetto della relazionalità passa, quasi necessariamente, dalla convivialità, sulla cui importante valenza non mi dilungo, non volendo essere retorico e scontato.

    _______________________________

    Distinguo volutamente la riflessione precedente, a mio parere di portata laica e universale, da quella a cui mi accingo ora, su un aspetto che universale, in una società secolarizzata, non è più: parlo della preghiera, e, in particolare, della preghiera corale: anche in questo, ritrovo gli elementi di memoria e identità e relazionalità sopra enunciati.
    Pregare con gli stessi canti con cui lo facevano i miei nonni, i suoi nonni (penso all'"Ave, maris stella" ai Vespri delle feste mariane, o a "Lodate, Maria, o lingue fedeli", "Mira il tuo popolo", "Noi vogliam Dio", o canti eucaristici come il "Tantum ergo" o "Inni e canti", al Corpus Domini) ci rende partecipi di una storia, ci lega a quelle radici a cui siamo indissolubilmente legati: è questo, secondo me, che può dare senso al fatto di spendere la nostra voce, ancora in questi canti, che, in sè, talvolta, suonano di parole legate ad una teologia- nel senso di rapporto uomo-Dio-, ad una ecclesiologia e a un devozionalismo fuori dal tempo....
    E poi relazionalità: il sentirci uniti intorno al Pane Eucaristico, il camminare insieme come Popolo di Dio in una processione, o in un pellegrinaggio, sono autentico legante- come l'uovo nella pasta (se ha qualche nozione di cucina- comprende bene questa "comparatio domestica" per la comunità cristiana.

    E poi la convivialità, che, anche da un punto di vista cristiano, assume un valore fondamentale.

    Per il cristiano, forse, come dice un mio amico sacerdote, il senso dell'incontro festivo è proprio "mangiare e pregare".

    Concludo questa mia seconda riflessione con un pensiero del Cardinal Martini, che ho sperimentato come vero e pregnante, sia in occasione di feste, sia, soprattutto, in un momento molto significativo della mia vita, il Cammino di Santiago, percorso per 135 km dopo la maturità, nel 2010, in cui, giungendo a Santiago nei giorni della festa, ho proprio sperimentato quanto Martini ci dice riguardo festa, processioni e pellegrinaggi.
    "Mentre le feste indicano che la vita è cammino verso Dio, le processioni, i pellegrinaggi ci portano fuori dal ritmo abituale, ci fanno comprendere che non siamo legati alle condizioni normali dell'esistenza, ma che abbiamo ampi spazi di libertà, che possiamo consacrare la nostra vita a Dio, possiamo indirizzarla a Lui, così come un pellegrinaggio è indirizzato al suo termine" (C.M Martini, "Le età della vita, Mondadori, Milano, 2010, p. 16).

    Un caro saluto a Lei e alla Prof.
    Marco

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  2. Caro sig., Marco, è sempre un piacere leggere le sue riflessioni e poi naturalmente rifletterci sopra. Condivido appieno la prima parte. Se poi mi cita Vicoforte, la mia adesione diventa irresistibile e ancor più se avesse citato Oropa … Ma è la seconda parte che mi intriga di più, perché tocca il cuore del cammino di me inquieto credente, nel mondo ma non del mondo, come mi rammenta l’anonimo “A Diogneto”. Lontano ormai dalle mie contestazioni giovanili – piene di aneliti di verità ma anche gonfie di presunzione - ho imparato a rivalutare e a rispettare profondamente la “devozionalità”, anche quando non ne condivido le forme e certe ritualità, perché esprime la fede di ognuno secondo quanto il cuore gli detta e la sua storia gli suggerisce. Sì, sento forte anch’io il richiamo martiniano del pellegrinaggio, in una valle che non è solo di lacrime ma di gioiosa corale operosa attesa. Per quanto i miei materiali pellegrinaggi siano stati molto limitati (Oropa, Loreto, Vicoforte, ed ogni santuario che con mia moglie visito nei nostri periodici italici viaggi, so bene quanto Santiago l’abbia segnata). Domani, a conclusione delle mie rubriche dedicate alla festa, anch’io tenterò di rispondere all’interrogativo. La prof. La saluta caramente.

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