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mercoledì 31 agosto 2016

Gianmaria Testa e la poetica della luna.

Di Rossana Rolando.
Immagine tratta dal video di Biancaluna, 
con i disegni di Altan,
nel libro-disco 
edito da Gallucci


Chi avvicina, ascolta e frequenta le canzoni di Gianmaria Testa (qui il sito) incontra spesso un soggetto poetico inserito tra le sue note ed è la luna. Grande, bianca, ballerina, scintillante, sola, vicina e lontana… sono questi alcuni degli attributi che accompagnano l’astro tanto caro al cantautore piemontese. Molteplici sono le linee evocative che il mondo lunare suggerisce: provo ad enuclearle associandole emblematicamente ad una canzone.


Biancaluna (nell'album “Lampo”) e la poetica dell’infanzia.
Partirei anzitutto da “Biancaluna”, la canzone scritta molti anni fa e ripresa nel 2014 nel libro disco edito da Gallucci e illustrato da Altan.  E’ una filastrocca per bambini, ma addita uno dei significati fondamentali della luna nell’immaginario del cantautore e forse anche un tratto del suo modo di essere e vivere: indica l’elemento giocoso, lo stupore infantile, l’emozione delle cose nuove (il tema del “Nuovo” cui è dedicata anche una canzone). Ma vuole dire soprattutto la forza del futuro raccolta nei grandi occhi dei bambini che guardano la luna.



domenica 28 agosto 2016

Tempo paradigmatico.

Post di Rosario Grillo.

Monica Pennazzi, 
Ucronìa (Non tempo)
James Hillman è conosciuto come il più importante continuatore della “psicologia archetipica” iniziata da Jung. 
In essa si assegna all’anima una dote a-temporale o intemporale, in relazione con la sua appartenenza al regno del caos e con la sua irriducibile differenza da ciò che si dispiega nel tempo lineare ed evolutivo. 
Da Hillman: “Non possiamo più pensare alla nostra biografia come un sistema vincolato dal tempo, come a una progressione lungo una linea retta dalla nascita alla morte; la dimensione temporale, la dimensione lineare, è soltanto una delle dimensioni della nostra vita. L’anima si muove in cerchi, dice Plotino” (Il codice dell’anima, p.180-1).
Monica Pennazzi, 
Ucronìa (Non tempo), 3
Come si vede, ci troviamo nel solco dell’agostinismo. Ad Agostino d’Ippona appartiene l’esplicitazione della peculiare relazione, psicologica, che stringono anima e tempo.
Nelle Confessioni, egli sostiene che soltanto il presente è, ma solo per un istante fugace, quindi è, e nel momento successivo non è, trapassa subito dall’essere al non essere. Il passato è attraverso l’anima: ricordo, il futuro, infine, suo tramite, è: attesa.
Nella interpolazione di Hillman, l’urgenza è della libertà o autenticità della “ghianda” che si trova nell’anima.
Essa è il suo archetipo, ed in essa si trova sia l’individualità (irripetibilità, Leibniz direbbe: indiscernibile) sia il genio (carattere).

giovedì 25 agosto 2016

Sul Liceo "G. Bruno" di Albenga. Lettera aperta.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Il Liceo "Giordano Bruno", 
sede Pontelungo
Il sig. Nicola mi ha invitato su facebook il 23 agosto scorso a “trovare qualche parola adatta, magari anche pubblica, per l’ultimo scempio che il Liceo si trova a subire…”. Nicola è stato studente  al “G. Bruno” di Albenga, che ho diretto nei miei ultimi anni di presidenza: un giovane – ormai quasi medico – che ho ammirato per la sua allegria, la sua serena e ferma rettitudine, l’amabile intelligenza e soprattutto la disponibilità verso tutti, persino verso il preside... Gli rispondo su questo blog per non lasciarmi involvere nella trappola delle  diatribe su facebook o delle battute di cattivo gusto. Spero invece nel  dialogo tra diversi pareri ed orientamenti,  capace di reciproco rispetto e magari anche di contribuire ad avviare nuovi solleciti percorsi di definitiva risoluzione dei problemi di tutte le scuole statali ingaune. 

Il Liceo "Giordano Bruno", 
sede via Dante
Caro Sig. Nicola, 
ho deciso di accettare, seppure con riluttanza, la Sua provocazione. Immagino si riferisca in particolare alla mancanza di aule, problema cronico per il “G. Bruno”, che oggi è  vera e propria emergenza, non tanto e non solo per  il Liceo, quanto per la città e per il suo destino culturale. Ho letto su IVG la dichiarazione  della Preside prof.ssa Barile: non avrei nulla da aggiungere, se non sottolineare la mia piena condivisione e ammirazione per una persona che sta facendo il possibile e l’impossibile per il Liceo. Ho anche grande stima per il Sindaco Cangiano e l’amico Maurizio e so bene quanto sia difficile muoversi tra i meandri delle difficoltà  economiche, delle richieste da ogni parte pressanti, dei veti e fuochi incrociati, dei rapporti non sempre facili  tra provincia e comune, dei tanti mascherati interessi di  parte (non so se ad Albenga ci sia ancora chi è contrario  ad un Liceo in continua espansione, ma  qualche anno fa c’era, eccome!).  

mercoledì 24 agosto 2016

La formula dell'amore e altri simboli. Monica Pennazzi.

Di Rossana Rolando.
 
Abbiamo visitato, lo scorso luglio, presso la bella Pinacoteca Francesco Podesti di Ancona, la mostra dedicata a Monica Pennazzi, giovane artista dal forte spessore comunicativo. 
Fili e nodi vanno a costituire elaborate tessiture che congiungono e pongono in tensione archi, cerchi, ellissi di ferro. “Cunauta” è il nome di una delle sculture che in modo emblematico dà il titolo all’intera esposizione. Il termine di origine portoghese - legato all’importante esperienza brasiliana dell’artista di Ancona – indica la culla del navigante e, simbolicamente, il luogo della nascita ma insieme del percorso, della protezione ma anche della precarietà.

Monica Pennazzi, Cunauta, 1
L’ingrediente filosofico esistenziale già contenuto in questo titolo si ritrova nelle altre opere, coniugato con l’elemento scientifico, che deriva dalla passione e dagli studi nei campi della matematica e della fisica quantistica.
Le figure create sono eleganti, leggere, rarefatte.  L’estensione nello spazio e la posizione, la luce e l’ombra, la monocromia del nero sono le qualità che si aggiungono al materiale e contribuiscono a fare, di queste forme prevalentemente astratte, vettori di un mondo ordinato, musicale, armonioso.

sabato 20 agosto 2016

Preghiera contro allucinazione.

Post di Rosario Grillo.

Ferdinand Hodler, 
La Notte, particolare
La paura è un sentimento innato della natura umana, ben rappresentato dalla figura eroica del leggendario Ettore.
Mosè stesso fu costantemente accompagnato dalla paura ne l’atto delle scelte estreme (fuga da l’Egitto, ascesa al monte Sinai).
La figura emblematica di Uomo, assunta da Gesù, manifesta sulla croce, senza alcun velo, il terrore della morte.
I teologi, per ultimo Vito Mancuso, mettono in luce la relazione tra la preghiera e lo stato di paura, facendo notare la radice etimologica di quest’ultima (dal latino precor) e quindi rilevando che è l’intrinseca precarietà a spingere alla preghiera.
Ferdinand Hodler, 
Adorazione
Si sa, oltre tutto, che da questo presunto umanesimo debole si è dissociato un certo pensiero laico celebrante la forza espansiva de l’uomo (Illuminismo, Marx, Nietzsche).
In proposito, val  la pena di osservare che la preghiera non apre alla sottomissione a Dio, ma a l’incontro, alla comunione.
Per certi versi, già qualcuno ha osservato che nella preghiera non è l’uomo che va incontro a Dio, ma viceversa Dio cerca l’incontro con l’uomo.

mercoledì 17 agosto 2016

La notte e la paura della Morte, F. Hodler.


Post di Rossana Rolando.
La notte di Ferdinand Hodler è una potente raffigurazione della Morte e della paura che essa incute. Si tratta di una grande tela (116.5 per 299), dipinta negli anni 1889-90. Il quadro suscitò scandalo e venne perciò escluso dalla Mostra di Belle Arti che si tenne a Ginevra nel 1891.

Ferdinand Hodler, La notte, particolare
Raffigura corpi nudi: di uomini possenti, di donne sinuose, corpi abbracciati nel sonno, avvolti tutti in un drappo nero che copre e protegge in parte le nudità. Lo sfondo sembra essere la sola terra gelida, dai colori bianco grigi, attraversata da fragili fili di vegetazione.  La notte, luogo del sonno riparatore: dolce, appagante, tranquillo. 
Solo in mezzo spicca un uomo, l’unico sveglio nel dipinto, scosso improvvisamente da qualcosa, certamente spaventato, anzi terrorizzato. Lo si capisce dallo sguardo, dall’espressione del volto, dalle mani contratte. Una sagoma nera lo sovrasta e si erge su di lui come un fantasma. La notte, luogo di fragilità.

venerdì 12 agosto 2016

La rete ed il pensare conviviale.

Post di Gian Maria Zavattaro 
Robert Delaunay, 
La città (1910)
Dopo tre anni, da quando nel giugno del 2013 con provocatoria sprovvedutezza lanciavamo  nello spazio virtuale il nostro blog, abbiamo toccato con mano ogni giorno l’ambivalenza della rete, luogo principe di  comunicazioni, ma anche di incomunicabilità e di narcisismo solipsistico. Abbiamo imparato subito che non basta stabilire un contatto con l’altro. Se io trasmetto segni messaggi immagini senza un solo possibile istante di dialogo non comunico per nulla. 
Facebook. google, twitter sono  virtuali “piazze” e  “cortili dei gentili” aperti a tutti ed a tutto e perciò stesso ambivalenti. Ci si può illudere ed accontentare del pettegolezzo salottiero, della “leggerezza della frivolezza”, della smodata popolarità dell’effimero fotografico, della bruciante chiacchiera del momento; si può anche stravolgere un presunto dialogo in un permanente monologo dove io parlo (o credo di parlare) con tutti, ma in realtà non faccio altro che parlare di me con me stesso. 
Robert Delaunay, 
Gioia di vivere (1930)
La realtà sorprendente della rete che ci ha conquistato è proprio questa sua povertà e ricchezza, “poros” e “penia”, che sono le condizioni per ricercare ed amare la ”sofìa”, essere “filosofi”, ardire  il salto di qualità verso  il pensiero del vivere insieme, “conviviale” (dal lat. convivere, cum-vivere), nel significato umanissimo ed intenso del colloquiare senza paludamenti retorici o accademici, espressione della“leggerezza della pensosità”, ma non per questo meno efficace e significativa. Un pensare ed un far pensare che si sviluppano nel confronto e nell’ascolto, nella circolarità dialettica, in una connotazione e denotazione  tutte particolari offerte dal “cortile” virtuale dove la comunità invisibile dei viventi può incontrarsi, i più si limitano a transitare mentre  qualcuno si sofferma per vivere insieme momenti di corale riflessione,  le distanze rimangono ma progressivamente si accorciano, la ricchezza delle diversità mette in luce l’identità irripetibile di ciascuno,  le difese si allentano,  le maschere che solitamente portiamo magari si sfilacciano e rendono possibile il dialogo conviviale.

martedì 9 agosto 2016

Il bisogno di sicurezza.

Post di Rosario Grillo 
Iconografia di Rossana Rolando
Arianna Papini, 
Abisso, 
quadro, 2007
Cedo  per una volta alla moda corrente ed entro subito in media re” senza preamboli.
Le società umane, per naturale spirito di conservazione, hanno da sempre scelto la sicurezza. 
Il loro fine è stato raggiunto ogni volta, compatibilmente i nemici e/o i pericoli da tenere sotto controllo. Parzialmente o totalmente. 
Gli strumenti utilizzati, passati per il crogiolo dei sentimenti e della ragione, possono classificarsi sotto l’etichetta dell’ostilità o de l’ospitalità.
Nella prima, chiaramente, vanno distinti l’offesa (attacco) e la difesa. 
L’ospitalità, il più delle volte, nasce dall’accortezza di mitigare il pericolo ricorrendo alla diplomazia dell’adattamento fino al limite dell’accoglienza. Celebre in tal senso il realismo politico con cui gli imperatori romani distribuirono la cittadinanza ai popoli delle province per tenerli a bada e per averne appoggio, talvolta giungendo ad assimilarne alcuni caratteri.
Arianna Papini, 
La guerra divora il mondo, 2013
Machiavelli ha sintetizzato alla perfezione la delega necessaria che il cittadino deve dare, in questa materia, al consorzio sociale, di cui è parte, entro cui è riconosciuta, per il resto, l’autorità istituzionale. “Sopra a che dico come, essendo questa [l’arte militare] una arte mediante la quale gli uomini di ogni tempo non possono vivere onestamente, non la può usare per arte se non una repubblica o uno regno, e l’una e l’altro di questi, quando sia ben ordinato, mai non consenta ad alcuno suo cittadino o suddito usarla per arte” (citato in M.Viroli - Scegliere. Il principe - Laterza).
Paradigmatico l’argomento di Hobbes, che dalla paura della morte fa originare lo scarto razionale finalizzato ad  unificare  le volontà di tutti nella sottomissione al Leviatano.

sabato 6 agosto 2016

Itinera ad gaudium, le vetrate di Fonte Avellana, Joost Caen.

Post e iconografia di Rossana Rolando.
Monastero di Fonte Avellana 
(foto di Marco Brix, Panoramio)
Ai monaci del Monastero di Fonte Avellana è cara una poesia che si conclude così:
“Le mie braccia allargate sono appena l’inizio del cerchio.
Ma un Amore più vasto lo compirà” (Margherita Guidacci).
In questa espressione poetica è contenuta l’idea chiave della regola benedettina cui i monaci dell’ordine camaldolese fanno riferimento: ora et labora, in una compenetrazione tra vita materiale e spirituale, tra umano e divino, tra terra e cielo che sintetizza ancora oggi la vita ad un tempo eremitica e cenobitica dei monaci.
Mio marito ed io abbiamo visitato nello scorso luglio il Monastero di Fonte Avellana, fondato verso la fine del X secolo, alle pendici del monte Catria (PU). Luogo di riferimento per pellegrini e per convegni di studio, il Monastero svetta nella sua intatta bellezza, carico della sua antica fama – di cui è vestigio lo splendido scriptorium. Basti pensare che nel Paradiso di Dante si trova il riferimento al Monastero di Fonte Avellana di cui è stato priore san Pier Damiani.

Monastero di Fonte Avellana, Chiostro 
(foto di esse est reminisci, Panoramio)
E proprio per onorare la memoria di San Pier Damiani (1007-1072) - cardinale, dottore della Chiesa, oltre che priore, autore di molte opere tra cui una Vita Romualdi, relativa a San Romualdo, fondatore dei camaldolesi, e un De divina omnipotentia, riguardante le più spinose questioni teologiche tanto care ai medievali - nel 2007 è stato inaugurato un primo ciclo di vetrate artistiche (le grandi finestre della chiesa, lo scriptorium, la sala capitolare e la cripta) che ha trovato poi prosecuzione in un secondo ciclo ultimato nel 2011 (le piccole finestre della Chiesa, la sala d’ingresso del monastero, il refettorio, la biblioteca moderna e il chiostro). 

Monastero di Fonte Avellana, Chiostro 
(foto di esse est reminisci, Panoramio)
L’artista è Joost Caen (proveniente dal Belgio), maestro nel campo delle vetrate, considerate nuovamente, in seguito al rilancio novecentesco di Chagall e Matisse  - dopo secoli di minorità - espressioni artistiche  di valore autonomo, non seconde alle altre forme d’arte della produzione contemporanea. Le 60 vetrate di Fonte Avellana sono certamente l’opera principale di Joost Caen, quella che permette di penetrare nel suo linguaggio espressivo e di coglierne tutta la potenza simbolica e il pregio estetico. Di questo particolare aspetto del Monastero mi vorrei occupare brevemente in questo post facendo riferimento ad un piccolo testo dello stesso Joost Caen, comprato presso il Monastero, dal titolo Itinera ad gaudium.

giovedì 4 agosto 2016

Italo Mancini e il libero sguardo sul mondo.


Post e iconografia di Rossana Rolando (pensando al nostro recente viaggio nelle Marche, in particolare ad Urbino, per noi legato indissolubilmente alla memoria di Italo Mancini - e non per caso la scelta delle immagini è caduta su Raffaello -, proponiamo sul blog l'introduzione del saggio di Rossana pubblicato nella rivista teologica Quaderni di Scienze Religiose, n. 20 anno XII 2003, Errebi Grafiche, Ancona 2004, pp. 72-74).

Raffaello, 
Scuola di Atene, 
particolare,
 Parmenide
Ho conosciuto Italo Mancini nella sua casa urbinate in una giornata invernale colorata di nevischio leggero. Sulla porta nessun titolo, solo il semplice nome. Una grande biblioteca al pian terreno con studenti alacri e silenziosi e Mancini in mezzo. Il mio colloquio con lui rimane uno dei ricordi più significativi della mia vita giovanile. Fui colpita allora – e si parlava del mondo universitario – dalla pensosità del suo parlare che era appassionato eppure anche disincantato, con una vitalità non ammuffita dall’inesausto risiedere fra i libri, ma resa da questo ancor più forte e convincente (nonostante la malattia fosse già incombente). Mi colpì soprattutto l’uomo: a lui è dedicato questo piccolo scritto.

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Raffaello, 
Scuola di Atene, 
particolare, 
 Claudio Tolomeo
Ricorrono, lungo le pagine manciniane, veri e propri tópoi di quello che ho intitolato “libero sguardo sul mondo”. Mancini sembra talora scusarsi delle proprie ricorrenze, ripetizioni di espressioni o di citazioni, ma si tratta di cosa non sgradita al lettore che entra così in una graduale familiarità con l’autore e soprattutto con il nucleo teoretico da cui fioriscono via via allargamenti, aperture, approfondimenti, come nello sviluppo di un tema musicale anticipato e poi indefinitamente ripreso nelle sue mille possibili sfaccettature (1).
E conviene allora individuarli subito questi tópoi sul mondo per meglio chiarire l’angolatura del discorso che si intende qui ricostruire.

martedì 2 agosto 2016

Il nostro viaggio nelle Marche.


Post di Gian Maria Zavattaro
Iconografia di Rossana Rolando.

Su questo blog non avrebbe senso raccontare il nostro pellegrinare per le Marche se solo si risolvesse in ricordi ed esperienze personali che esigono la discrezione del silenzio. Se invece si è vissuta un’avventura  che va al di là del privato, forse qualcosa si può narrare.
Le MARCHE sono  tante cose, se si ha la pazienza ed il coraggio di percorrere itinerari inusuali e non appetiti dal turismo di massa.

Tipico paesaggio marchigiano
Distese di girasoli
Bellezze naturali: foreste incantate (Monti Sibillini, Fiastra, Conero, tante valli e gole interne…), distese di ulivi verdeggianti, susseguirsi di colline variamente coltivate, prati costellati  di rotolanti balle di fieno, estesi campi di girasoli, vitigni dalle molteplici varietà e naturalmente – anche se  mia moglie vi ha dedicato solo un memorabile fugace bagno mattiniero, prima della calca feroce dei vacanzieri - spiagge sabbiose e mare in cui ti inoltri senza tema di sprofondare …