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venerdì 14 luglio 2017

Søren Kierkegaard, In vino veritas.

Riassunto del testo "In vino veritas" del filosofo danese Søren Kierkegaard.

Compendio a cura di Rossana Rolando del testo di Kierkegaard, In vino veritas (l’edizione di riferimento è quella della Laterza, Bari 2007, a cura di Icilio Vecchiotti).

P.C. Klaestrup, 
Disegno raffigurante Kierkegaard
Il titoloIn vino veritas” (il primo degli scritti contenuti in Stadi sul cammino della vita del 1845) richiama Simposio 217 e allude al potere smascherante della bevanda alcolica capace di allentare le censure e di far dire ciò che veramente si pensa (p. 35).

Genere letterario. Lo scritto è costruito nella forma di un dialogo sullo stile del Simposio platonico che, in diversi punti, viene citato e ripreso.
Il tema è l’amore o, più precisamente, la donna considerata come inesplicabile origine dell’eros.

Il narratore. Chi narra compare, in prima persona, all’inizio e alla fine del dialogo, ma solo nel sottotitolo si rivela come William Afham (uno dei tanti pseudonimi di Kierkegaard).

“… colui che possiede un ricordo è più ricco che se possedesse tutto il mondo” (p. 22)
Introduzione. Il Pensiero preliminare, come viene intitolato, si concentra sulla distinzione tra memoria e ricordo: la memoria è la facoltà di rammentare, la possibilità di riportare alla mente un evento o una nozione; il ricordo è il contenuto depositato nella memoria, è il vissuto che si è arrotolato nella mente (come dirà Bergson pur con un uso diverso dello stesso lessico).
Kierkegaard, 
In vino veritas, editore Laterza
Per chiarire tale distinzione ricorriamo all’esempio efficace di Kierkegaard: la persona anziana perde la memoria (= facoltà di immagazzinare dati recenti), ma non dimentica il passato lontano stratificato nei ricordi. Al contrario il fanciullo ha grande capacità di apprendere mnemonicamente, ma non ha nulla da ricordare, avendo vissuto poco.
La memoria accumula e facilmente cancella quelle nozioni che sono indifferenti per la psiche, il ricordo fissa per sempre sensazioni e stati d’animo legati ad eventi significativi – gioiosi o dolorosi che siano - nella vita del soggetto (p. 22).
La scena del convito si spalanca quindi sulla scorta di esperienze interiori: la condizione posta da Costantin, che organizza l’incontro, è proprio questa: che non si parli dell’amore in astratto, ma dell’amore elaborato a partire da storie vissute (p. 35).
Notazione. In molti punti di questa iniziale disamina vengono anticipate tematiche freudiane (fuga dai ricordi spiacevoli, p. 15; ogni ricordo è un segreto, p. 16).

I partecipanti al convito sono cinque e discorrono secondo questo ordine: il giovinetto, Costantin Costantius, Victor Eremita, il mercante di mode, Johannes il Seduttore.
Giunti dopo il crepuscolo, gli invitati mangiano e bevono per poi cominciare a parlare. Ciascuno porta una propria tesi sull’amore e sulla donna.

“…l’amabile è l’inesplicabile” (p. 42)
Il giovinetto. Egli afferma di non aver mai amato e di esserne felice. L’amore, come raccontano i poeti,  può essere la fonte del dolore più profondo.  Eppure la capacità di generare tanta sofferenza rimane imperscrutabile. Anzitutto perché non si comprende quale sia il suo oggetto: non è il bene, che supera l’orizzonte della passione amorosa; non è il bello in generale, perché la bellezza erotica ha una sua specificità che può anche non coincidere con i canoni della bellezza fisica; non è la separazione tra i sessi – come racconta Aristofane nel Simposio – perché ciascuna donna vuole essere amata non semplicemente in quanto donna, ma nella sua assoluta singolarità.
L’oggetto che attrae nell’amore e che può provocare immensa infelicità e sofferenza è quindi inesplicabile e perciò, colui che ne è vittima, risulta alquanto ridicolo: in ogni circostanza della vita gli uomini calcolano, infatti, con grande accuratezza le cause da cui derivano malattia e morte, per ripararsi da esse e invece, nel caso dell’amore, si lasciano irretire da ciò che non sanno spiegare.
E la cosa è tanto più grave se si pensa che la scelta di una donna da parte di un uomo – per quanto oscura nelle sue motivazioni - non è frutto di leggerezza: non è la prima donna che capita, ma è l’unica ritenuta possibile, quella e soltanto quella in tutto il mondo (p. 42).
Il comico sta proprio nella sproporzione tra la decisività della scelta (la donna dell’intera esistenza) e l’impossibilità di spiegare il perché della scelta. E’ come condurre la ricerca della cosa più importante della propria vita con una benda sugli occhi (p. 43). Questo è il fulcro ridicolo dell’amore ed è, nello stesso tempo, ciò che incute paura e induce a fuggire dal suo influsso.
Infine, c’è un ulteriore motivo per evitare l’amore: esso affida, infatti, la più alta spiritualità (l’amore eterno) alla più indomabile e cieca sensualità (l’attrazione psico-fisica). Un fantoccio compie movimenti diretti da altri ed essendo questa la sua natura non risulta per nulla comico. Quando invece è l’uomo a muoversi come un burattino, sotto la spinta di forze incomprensibili come quelle dell’amore, egli appare  ridicolo perché il suo automatismo è in contrasto con la natura libera e consapevole che dovrebbe caratterizzarlo.
In conclusione, l’inesplicabile, l’in-significante finiscono per significare tutto: in questa contraddizione dunque si situa il comico dell’amore.

La donna “è compresa bene unicamente sotto la categoria dello scherzo” (p. 57).
Costantin. Pur criticando la posizione del giovinetto per la sua inesperienza, Costantin prosegue l’argomento della sproporzione e lo individua nella distanza che intercorre  tra la grandezza soprannaturale e l’idealità immaginaria di cui viene rivestita la figura della donna (tanto più quanto più è intelligente e quindi capace di soggiogare l’uomo) e la sua effettiva realtà (p. 58). Nei discorsi posti in bocca a Costantin Kierkegaard fa trapelare la sua personale vicenda - romanzata e rivisitata - con Regina Olsen: ella, dopo aver dichiarato che sarebbe morta disperata qualora l’amato fosse partito da lei per un lungo viaggio, non solo non muore, dopo la partenza di lui, ma si unisce per sempre ad un altro.

“… è in un rapporto negativo che la donna rende l’uomo produttivo nell’idealità” (p. 72).
Victor Eremita. Il terzo interlocutore continua, a sua volta, il discorso sulla contraddittorietà della natura femminile ed approfondisce il tema dell’idealità che la donna porta nella vita di un uomo e che lo spinge a fare grandi cose - a divenire eroe, poeta, genio, santo -   soltanto se ella si nega nella sua effettività. Nel momento in cui la donna diventa moglie e l’uomo marito, viene meno quell’intimo “motore” di grandezza e si finisce nella ordinarietà di una vita familiare di marito, padre, impiegato. L’ispirazione della donna è tale solo nella negazione della sua presenza: perciò non vi è moglie che abbia suscitato un eroe o un poeta o un genio… Nella donna si ama l’ideale e non il reale che - dell’ideale -  è solo spunto e occasione.
In questo intervento si raccolgono le notazioni più profonde relative all’amore romantico, cantato nei versi dei poeti. L’ideale che la donna risveglia nell’uomo, l’assoluto che raffigura, il valore immortale che suscita non possono mai trovare alimento nella donna in quanto donna: perciò la protagonista della poesia romantica deve morire, perché il suo potere è tutto nell’immaginazione di lei senza di lei, la sua presenza si nutre della sua assenza, la sua idealità è resa possibile soltanto dal suo svanire.

“… la moda è donna, perché la moda è l’incostanza del non senso” (p. 80)
Il mercante di mode. In questo quarto intervento si presenta il volto frivolo della donna, completamente assoggettata alla volubilità della moda. Il contrasto su cui si giocano gli interventi precedenti raggiunge qui il suo culmine: la donna angelo, veicolo di rivelazioni sublimi, via di elevazione… è tutta e solo racchiudibile nella fatuità di un ornamento. La boutique è il suo vero altare, il sacro che lei dovrebbe suscitare è per lei, a ben vedere, un semplice “cappellino” da mostrare ed esibire. Il mercante di mode possiede le chiavi della mente e del cuore di una donna e può portarla dove vuole fino a renderla – senza che lei lo sappia – ridicola.

“L’idea della donna, invece, è una generalità che non è esaurita in nessuna donna” (p. 93).
Johannes il Seduttore. Quest’ultimo demolisce i discorsi precedenti:  il giovinetto è inesperto e rimane fuori dall’esperienza dell’amore; Costantin ha sofferto troppo nel cercare di comprendere la sua relazione tradita; Victor rimane un sognatore; il mercante di mode è un arrabbiato… tutti denigrano la donna perché sono amanti infelici. Il seduttore, invece, vuole parlare in onore della donna, celebrandola come  una divinità. Perciò racconta un mito.
Un tempo vi era un solo sesso: quello maschile. Gli uomini erano così perfetti da suscitare l’invidia degli dei che, per dominarli, gli misero accanto un essere meraviglioso, più potente di lui, anche se fisicamente più debole. Nella universalità del femminile venne posta ogni illusione di leggerezza, freschezza, amabilità, compiutezza, pienezza… meta in cui trovare felicità, quiete,  ristoro. La bellezza della donna venne associata ad una misteriosa forza attrattiva, ad una capacità di seduzione e di incitamento del desiderio, che rimase a lei stessa celata, avvolta nell’ignoranza dell’innocenza e del pudore. Così agirono gli dei per sottomettere gli uomini.
Solo i seduttori sanno godere dell’inganno senza lasciarsi ingannare (p. 96). Essi amano la donna attraverso molte donne, godono della bellezza e dell’incanto femminile al di qua del singolo legame, fermandosi prima di ogni stabile rapporto di coppia: con il matrimonio, infatti, essi sarebbero sottoposti all’abitudine del quotidiano, al logorio del tempo, alla limitatezza di ogni esperienza finita, dando così piena vittoria alla volontà degli dei nei confronti degli uomini.
Con questa argomentazione conclusiva viene ripresa la figura kierkegaardiana dell’esteta, descritta in Aut aut.

Ultima scena.
Il dialogo si chiude con un intreccio di immagini che descrivono la tenerezza e la delicatezza di un amore coniugale (il giudice Vilhelm con la moglie).  La forza evocatrice della conclusione, senza nulla togliere all’acutezza delle analisi fornite nel corso del dialogo, suggerisce la possibilità di un diverso orizzonte affettivo, realizzato dall’intensità di una convivenza concreta, intima, vera, capace di accettare il limite della finitezza,  priva di rimpianti estetici (aut aut, appunto).

“Egli si alzò, le dette un bacio in fronte, la prese a braccetto e sparirono in un sentiero di spesse fronde, che partiva dalla pergola” (p. 104).

7 commenti:

  1. Assieme agli articoli di vario taglio culturale (comparsi finora sul blog), con questo post pubblicato ieri, abbiamo aperto una nuova rubrica dedicata ad opere filosofiche o letterarie delle quali presenteremo un compendio. Le sceglieremo (tra le tante possibilità) in base ad alcuni criteri: la significatività che noi attribuiamo ad un determinato testo filosofico o poetico, l’opportunità di divulgare contenuti generalmente poco conosciuti, il riferimento alle domande poste dalla contemporaneità.
    Su facebook sono stati numerosi i segnali di consenso all’iniziativa. Ringraziamo tutti, uno per uno, per il sostegno espresso in vari modi.

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  2. Kierkegaard è un pilastro della riflessione esistenzial/filosofica. Compendio assai gradito di un'opera che non conoscevo. Saluti cordiali.

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  3. @Mari D'Asaro. Grazie per il suo gentile apprezzamento.Ricambio i saluti.

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  4. Una sintesi perfetta dell'opera filosofica "In vino veritas"di Soren Kierkegaard

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