SIMONE WEIL
1909-1943
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Simone Weil. |
Non
potendo delineare in poche righe la complessa personalità di Simone Weil, mi
limito ad indicare due direttrici: (1) fu sempre dalla parte degli
oppressi e degli “sventurati”; (2) la sua ricerca religiosa, intensa, mistica e
profonda, l’avvicinò alla fede cattolica. (1) In prima fila nelle lotte
sindacali e politiche, sperimenta il duro lavoro nelle fabbriche e nei
campi, partecipa alla guerra civile spagnola, intuisce la gravità del nazismo
che intende combattere senza risparmiarsi e si lascia infine morire d’inedia
per partecipare alle sofferenze degli ebrei. Insegna filosofia tra il 1931-38
nei licei femminili di varie città francesi, disorientando alunne e cittadini
per le sue iniziative. Dello stipendio spende per sé solo l’equivalente
del sussidio ai disoccupati, per condividerne le ristrettezze di vita. In
varie pubblicazioni denuncia anche lo stalinismo come forma di oppressione non
dissimile dal fascismo. Ospita per qualche tempo a Parigi l’esule Trockij, con
il quale si scontra verbalmente, lasciandolo interdetto (“Appartiene forse
all’esercito della salvezza’”). Dal 1930 avverte incessanti dolori fisici che
la tormenteranno per tutta la vita. Pur in queste condizioni vuole vivere
direttamente la condizione operaia (otto mesi di lavoro in fabbrica, tra cui la
Peugeot). Nell’agosto 1936 decide di partecipare alla guerra civile in Spagna,
si aggrega ai repubblicani che per lei rappresentano gli oppressi e gli umili.
Pur non partecipando ai combattimenti, si ferisce gravemente e torna in
settembre a Parigi: “non era più, come mi era sembrata all’inizio, una guerra
di contadini affamati contro i proprietari terrieri e il clero complice
dei proprietari, ma una guerra tra la Russia, la Germania e l’Italia”.
(2)
Ebrea, intellettuale laica educata nell’agnosticismo, scopre
progressivamente di sentirsi cattolica “di diritto”. Decisivi sono “tre
contatti”: con alcuni pescatori portoghesi; con la spiritualità di S.
Francesco ad Assisi (“per la prima volta nella mia vita qualcosa più
forte di me mi ha obbligata a mettermi in ginocchio”); con la
liturgia cattolica nel 1938 a Solesmes, dove, mentre osserva un giovane
cattolico che ha ricevuto la comunione, lo vede rilucere di uno splendore
angelico e, recitando “L’amore mi diede il
benvenuto” di George Herbert ( che impara a memoria), si sente “presa da
Cristo”. Ma resterà sempre volutamente “sulla soglia della Chiesa”. Nel
1940, con l’invasione tedesca, si trasferisce a Vichy assieme ai genitori in
attesa di imbarcarsi per l’America, poi a Tolosa e infine a Marsiglia. Aiuta i
rifugiati ebrei e fraternizza con i poveri. Arrestata mentre distribuisce
volantini, è rilasciata dal giudice che la ritiene pazza. Conosce Perrin, un
domenicano. che diventa il suo confidente spirituale e le presenta Thibon
“filosofo contadino” che l’assume nella sua fattoria, dove nell’autunno 1941
lavora come operaia agricola, dorme in una casetta diroccata, mangia quel che
trova, si disseta da una sorgente, dorme sulla nuda terra. Nel 1942
scrive le sue opere migliori e si lega alla Resistenza con i giovani
cattolici guidati da Perrin. A metà maggio segue i genitori a Casablanca, dove
soccorre come può gli esuli ebrei. A luglio è con i genitori a New York;
non resiste; a dicembre è a Londra per unirsi a “France libre”, ma è
considerata ancora una volta pazza. Il 15 aprile 1943, trovata svenuta in
camera, è condotta all’ospedale. Affetta da tubercolosi aggravata dalle
privazioni a cui si è sottoposta, muore il 24 agosto nel sanatorio di Ashford,
nei pressi di Londra. Il Tuesday Express
titola in prima pagina: “Professoressa francese si lascia morire di fame”.
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