(1882-1937).
Pavel A. Florenskij |
Dopo la laurea in Matematica e
Fisica, il suo crescente interesse per la matematica pura si concretizza
in un attento confronto con il pensiero logico-matematico che
lo sollecita ad indagare il significato del “simbolo”, il rapporto costitutivo
tra finito e infinito, unità e molteplicità. Decide poi di iscriversi all’Accademia
Teologica di Mosca. Riflettendo sulla filosofia di Schelling e di
Solov’ev, Florenskij ricolloca al centro del pensiero cristiano il dogma
trinitario come “principio basilare” dell’ontologia. Gli scritti
teologici di questi anni sono di intensa creatività ed
alcuni sembrano precorrere il Concilio Vaticano II. Il suo crescente
interesse per la cultura cristiana si concretizza nella scelta definitiva
dell'esperienza ecclesiale: ottenuta la licenza teologica, nel 1910 si
sposa con Anna M. Giacintova e poco dopo è consacrato presbitero ortodosso.
Negli anni che precedono la rivoluzione, partecipa attivamente alla
vivace vita culturale e religiosa russa, scrivendo sulle principali riviste
teologiche, filosofiche e artistiche. Dopo la rivoluzione del 1917, non sceglie
come altri intellettuali la via dell’esilio, convinto della necessità di una ferma
resistenza interna. Nel maggio 1928, quando il potere politico sovietico
disvela appieno i suoi intenti persecutori ed intolleranti verso
ogni forma di cultura religiosa, padre Pavel è arrestato: incluso tra i
soggetti socialmente pericolosi perché «oscurantista», è condannato a tre
anni di confino, poi annullati. Torna a Mosca e riprende la sua
intensa attività filosofica, scientifica e teologica. Il 26 febbraio 1933 è
nuovamente arrestato. Condannato a 10 anni di lager, è deportato in Siberia nelle
isole Solovki, in un antico monastero trasformato nel primo gulag
sovietico. Pur in condizioni penosissime e tormentose continua le sue
ricerche (sul gelo perpetuo, l’estrazione dello iodio e dell’agar-agar dalle
alghe marine) e brevetta varie importanti scoperte scientifiche (es. il
liquido anticongelante). La sua fine è però segnata: contro di lui viene
ordita una falsa accusa. Egli in un primo momento decide di resistere e
con veemenza proclamare la sua innocenza, poi accetta di sacrificare se stesso,
quando viene a sapere che in questo modo avrebbe assicurato la salvezza
di alcuni suoi compagni dall’inferno del gulag. L’8 dicembre 1937,
condotto in una località rimasta sconosciuta, non lontana da Leningrado,
viene fucilato insieme con altri 500 detenuti.
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