“[…] Chiunque adora un
idolo intuisce che in qualche modo si degrada, sta facendo il proprio male e
sta preparandosi a fare del male agli altri.
Ma non ci sono soltanto gli idoli visibili. Più radicati e potenti, duri
a morire, sono gli idoli invisibili, quelli che rimangono anche quando sembra
escluso ogni riferimento religioso. Tra essi vi sono gli idoli della violenza, della vendetta, del potere
(politico, militare, economico…) sentito come risorsa definitiva e ultima. E’
l’idolo del volere stravincere in tutto, del non volere cedere in nulla, del
non accettare nessuna di quelle soluzioni in cui ciascuno sia disposto a perdere qualche cosa in vista di un bene complessivo. Questi idoli, anche se si presentano con le vesti rispettabili della
giustizia e del diritto, sono in realtà assetati di sangue umano. Essi hanno
una duplice caratteristica: schiavizzano e accecano. Infatti, come dice tante
volte la Bibbia, chi adora gli idoli diviene schiavo degli idoli, anche di
quelli invisibili: non può più sottrarsi ad esempio alla spirale perversa della
vendetta e della ritorsione. E chi è schiavo dell’idolo diventa cieco riguardo
al volto umano dell’altro. Ricordo la frase con cui alcuni giovani
ex-terroristi degli anni ’80 cercavano di descrivere come avessero potuto
sparare e uccidere: ‘non vedevamo più il
volto degli altri’. […] Chi ha fiducia solo nella violenza e nel potere prima o
poi tende a eliminare e distruggere l’altro e alla fine distrugge se stesso. […]
Ma proprio da questa situazione, dalla
presa di coscienza di trovarsi in un tragico vicolo cieco di violenza - a cui
ha fatto più volte allusione il Papa Giovanni Paolo II – può scaturire un grido
di allarme salutare e urgente, più forte dell’idolatria del potere e della
violenza. E’ un grido che si traduce concretamente nel proclamare che non vi sono
alternative al dialogo e alla pace. […]
Per questo i leader di tutte le parti tra loro contrastanti debbono
rischiare senza esitazioni il dialogo della pace. Tutto ciò fa emergere più
chiaramente la responsabilità della comunità internazionale. […]
Certamente l’odio che si è accumulato è grande e grave nei cuori. Vi sono persone e gruppi che se ne nutrono come di un veleno che mentre tiene in vita insieme uccide. Per superare l’idolo dell’odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell’altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l’odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente al sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace. […] Il superamento della schiavitù dell’idolo consiste nel mettere l’altro al centro […].”
Certamente l’odio che si è accumulato è grande e grave nei cuori. Vi sono persone e gruppi che se ne nutrono come di un veleno che mentre tiene in vita insieme uccide. Per superare l’idolo dell’odio e della violenza è molto importante imparare a guardare al dolore dell’altro. La memoria delle sofferenze accumulate in tanti anni alimenta l’odio quando essa è memoria soltanto di se stessi, quando è riferita esclusivamente al sé, al proprio gruppo, alla propria giusta causa. Se ciascun popolo guarderà solo al proprio dolore, allora prevarrà sempre la ragione del risentimento, della rappresaglia, della vendetta. Ma se la memoria del dolore sarà anche memoria della sofferenza dell’altro, dell’estraneo e persino del nemico, allora essa può rappresentare l’inizio di un processo di comprensione. Dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace. […] Il superamento della schiavitù dell’idolo consiste nel mettere l’altro al centro […].”
Carlo Maria Martini: “Ogni popolo guardi il dolore dell’altro e la
pace sarà vicina” (estratto
dall’articolo apparso sul Corriere della sera il 27.08.2003)
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